Ventuno

…"Con trenta gradi all’ombra i pazienti giacevano nei loro letti e in realtà si auguravano tutti la morte, così come me l’auguravo io, e uno dopo l’altro furono anche accontentati e morirono tutti quanti, anche l’ex poliziotto Immervoll, che era ricoverato nella stanza accanto e, finché fu in grado di farlo, veniva ogni giorno nella mia stanza a giocare con me a Ventuno, lui vinceva e io perdevo, per settimane andammo avanti lui a vincere e io a perdere, finché lui morì e io no. Entrambi appasionati giocatori di Ventuno, giocammo a Ventuno e ammazzammo così il nostro tempo, finché a restare ucciso fu lui. Morì appena tre ore dopo aver giocato e vinto l’ultima partita con me." … ( da T. Bernhard, I miei premi)

Musica colta a Firenze

Torno al Teatro Comunale di Firenze dopo alcuni mesi dall’ultimo concerto visto. Una ottava di Beethoven mediocre e un’Incompiuta di Schubert che avrebbe preferito non essere mai iniziata. I ricordi non promettono mai bene. Questa volta si tratta di un concerto per piano solo. Ryuichi Sakamoto, che torna in Italia per presentare il nuovo album “Playing the piano”. Due pianoforti gran coda posti uno davanti all’altro che neanche le sorelle Labeque. Sakamoto ne suona uno solo(già difficile quello) l’altro viene comandato elettronicamente “in contrappunto”(indicano le note del programma di sala) con le note suonate dal musicista giapponese. Atmosfera da grande evento, già benedetto sui giornali come “concerto più innovativo dell’anno”, gran spolvero di splendide connazionali del musicista che per l’occasione hanno svuotato i negozi più chic di Firenze, e di appassionati di “musica d’avanguardia” (sento dire nel foyer del teatro da un elegantone finto-trasandato con capelli lunghi e grigi da pensatore profondo). Sono da sempre un ascoltatore attento della musica di Sakamoto. Lo considero un abile intrattenitore. Sin dai tempi della Yellow Magic Orchestra di cui era il leader, mi era piaciuto il tentativo di miscelare le obbligate radici orientali con l’electro pop europeo. Poi la svolta, le colonne sonore: Furyio, con la celeberrima Forbidden colors, la collaborazione con “Bernarda Bertolucci” per Ultimo Imperatore e Piccolo Budda, e il conseguente Oscar, che lo avevano proiettato tra le star internazionali di un certo tipo di musica colta. Reputazione confermata con lavori sia per solo piano che per orchestra, con adeguate e calcolate svolte elettroniche, dove a farla da padrone erano e sono scelte autoriali alquanto furbe. Il tutto confermato nella serata di giovedì scorso al Comunale. Inizio con un brano ovattato e ripetitivo, avvolto da un’astuto tappeto elettronico che fa da colonna sonora a immagini e scritte ecologiste che scorrono sul grande schermo sponsorizzato dalla Audi(!) Brano splendido se non fosse che sono passati più di trenta anni da quando gente come Glass, Steve Reich o Terry Riley ha scritto queste cose. Secondo brano in chiaro stile finto-debussyano e qua è quasi passato un secolo. Poi inizia il “contrappunto” con l’altro pianoforte. Il musicista giapponese pizzica le corde del piano creando un effetto rumoristico, alternato al piano comandato elettronicamente. John Cage torna tra noi, in peggio e con quel nonsoché di ri-sentito. Grandi applausi del pubblico che non aspetta neanche che il brano sia finito. E’ musica colta, va applaudita. Fortuna che l’autore include anche i suoi cavalli di battaglia, come i già citati brani tratti da Furyo, Ultimo Imperatore e Tè nel deserto. Gioia del pubblico che si scioglie in sospiri. Ora voglio dire: mi sono divertito, in fondo è stato un bel concerto e Sakamoto ha dimostrato anche un certo qual tocco sulla tastiera, ma resta per me un abile musicista pop che ha creato un suo rispettabilissimo universo musicale, rivendendolo come frutto di una straziante e solitaria ricerca d’avanguardia. Non è così: sono musiche che pescano dalla grande tradizione americana e inglese del minimalismo (tanto per dargli un nome) e in alcuni brani di precedenti lavori (Chasm), con voci registrate e sovrapposte, quasi si rasenta il plagio (Reich su tutti). Nei brani più intimisti si sente chiaramente il voler semplificare la lezione di Debussy usandone solo i colori e le tonalità che colpiscono l’immediato. Insomma: bene Sakamoto ma la smetta con questa aria da grande musicista contemporaneo immerso nella lezione di antichi maestri che si guarda bene dal nominare, come se tutto fosse farina del suo sacco. Modestia e citazione delle fonti ne farebbero un più simpatico intrattenitore, certamente raffinato, ma sempre immerso nel business della finta musica colta a una sola tonalità che fa sentire tanto intelligenti chi la ascolta. Il giorno dopo mi hanno detto che nella scaletta era incluso Bach. Non me ne sono accorto.